Aveva tredici anni e una vita davanti, ma una mattina d’ottobre, Aurora Tila è stata uccisa proprio dal suo fidanzato.
Aurora Tila aveva tredici anni, tredici. Un’età in cui la vita dovrebbe essere solo scuola, risate con le amiche, sogni per il futuro e progetti. Invece, la sua vita si è fermata una mattina di ottobre del 2024, a Piacenza.
È precipitata dal settimo piano del palazzo dove abitava, e da quel giorno niente è stato più come prima. Il processo per la sua morte si è svolto con il rito abbreviato e con la condanna del suo fidanzato, di soli sedici anni.
Dopo mesi di indagini per la morte di Aurora c’è una condanna: diciassette anni di reclusione per l’ex fidanzato, un ragazzo di sedici anni.
Il Pubblico Ministero aveva chiesto una condanna di oltre vent’anni, la difesa invece l’assoluzione. Il processo si è svolto con rito abbreviato presso il Tribunale per i minorenni di Bologna.
Il giudice ha riconosciuto che non fu un incidente, ma un gesto violento. Secondo la ricostruzione dei magistrati, Aurora non è caduta da sola. Sarebbe stata spinta nel vuoto durante un litigio.
Si sarebbe aggrappata alla ringhiera per salvarsi, ma il ragazzo, accecato dalla gelosia, l’avrebbe colpita alle mani, lasciandola cadere. Un dettaglio tremendo, confermato anche da alcuni testimoni che, quel giorno, avrebbero visto la scena.
Il ragazzo ha continuato a dirsi innocente. Ha negato tutto, sostenendo che si sia trattato di un incidente o addirittura di un gesto volontario della stessa ragazza. I suoi avvocati hanno parlato di una tragedia nata dal caos emotivo di due adolescenti. Ma in aula la verità era un’altra, avvalorata dai referti medici, dai messaggi, dai segni di una relazione malata che i due adolescenti vivevano.
Davanti al tribunale, la madre della tredicenne non ha trattenuto la rabbia. “L’ha uccisa perché non sopportava che lei gli avesse detto di no” ha detto ai giornalisti, con le lacrime agli occhi. “Non è una questione di follia, è questione di possesso. Mia figlia non lo voleva più, e lui non ha accettato di perderla.”
Le parole della mamma di Aurora sono fortissime e riflettono appieno lo sconcerto per un male del nostro tempo: quello del femminicidio. Anche l’avvocata della famiglia, Anna Ferraris, aveva chiesto una condanna severa, parlando di “un amore malato che era già diventato persecuzione”.
Il giudice le ha dato ragione: il ragazzo sconterà diciassette anni. Quando la sentenza è stata letta, in aula nessuno ha esultato, c’erano solo silenzio e lacrime. Un silenzio pieno di assenza, di rabbia e di quella domanda che da un anno tormenta tutti: come si può arrivare a uccidere per non accettare un “no”?
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